19 Giugno 2025: Messaggio alla Comunità Parrocchiale

Carissimi,

quando si sceglie la vita religiosa, dice ancora Francesco di Sales, “molti vengono liberati da Nostro Signore”, come fu liberato Agostino di Ippona. Ma liberi da cosa, gli chiediamo. Risponde: “Alcuni vi entrano casti, liberi da tutte le voluttà; altri senza soffrire di alcuna forma di avarizia, lasciano volentieri tutti i possedimenti terreni per farsi poveri”. Però si deve anche riconoscere che “sono pochi quelli che poi abbandonano, come di dovere, le loro ambizioni e si rendono completamente liberi”.

Ci viene in mente, a tale proposito, san Luigi Gonzaga (1568-1591 e del quale tra due giorni ricorrerà la memoria) che, senz’altro, è uno di quei “pochi”. Egli, primogenito di stirpe nobile, rinunciò al suo diritto di successione, a favore del fratello minore Rodolfo, entrando nella Compagnia di Gesù (gesuiti) e terminò il suo pellegrinaggio terreno a soli 23 anni mentre, a Roma, dava soccorso ad un appestato, durante l’epidemia che colpì la città nel 1591.  Torniamo a Francesco che prosegue ammettendo, dunque, che anche nella scelta della vita religiosa “si incontrano tanti desideri, tante speranze, ma si è tanto poco vuoti del proprio tornaconto! Quanto poi alla vanità, non so se sia possibile trovarne uno solo che ne sia libero. E’ un male comune e universale”. E qui dobbiamo considerare questa affermazione valida per ogni tipo di vita in quanto anche i “laici”, che si impegnano al meglio delle loro possibilità all’interno della propria famiglia e della comunità parrocchiale, possono soffrire di questa “sindrome”. A sostegno di questo, come fa lo stesso Salesio, citiamo le parole di Agostino: “Non so se ci sia qualcuno esente dalla vanità, dal compiacimento di se stesso, dalla stima di se stesso; se sia così non lo so, ma, per conto mio, non sono di quel numero, perché sono un uomo peccatore” (Le Confessioni, libro X, 36-38). Francesco, a questo punto, non può che esclamare: “O Dio, quanto questo glorioso santo, dopo la conversione era contrito e umiliato, quanto si era abbassato e quanto era pieno di riconoscenza per la grazia ricevuta dalla somma Bontà!”. E quanto, anche noi tutti, dobbiamo essere umili, nel riconoscere che il bene che riusciamo a fare non è “farina del nostro sacco”, ma frutto della bontà di Dio e del suo Spirito che agisce in noi e attraverso di noi. E, insieme ad Agostino, potremmo chiederci: “che cosa renderò al Signore per tutto il bene che mi ha fatto?” E rispondere: “Gli offrirò un sacrificio di lode”.

Preghiamo

Signore Gesù, che scruti il profondo del nostro cuore, non permettere che il bene che riusciamo a fare ci faccia inorgoglire e rendi sempre più presenti in noi le tue parole: «Quando avrete fatto tutto quelle che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10). Amen

Che il Signore oggi ci conceda di sentirci servi senza pretendere la riconoscenza altrui.

Buona giornata,

PG&PGR