Carissimi,
quando si sceglie la vita religiosa, dice ancora Francesco di Sales, “molti vengono liberati da Nostro Signore”, come fu liberato Agostino di Ippona. Ma liberi da cosa, gli chiediamo. Risponde: “Alcuni vi entrano casti, liberi da tutte le voluttà; altri senza soffrire di alcuna forma di avarizia, lasciano volentieri tutti i possedimenti terreni per farsi poveri”. Però si deve anche riconoscere che “sono pochi quelli che poi abbandonano, come di dovere, le loro ambizioni e si rendono completamente liberi”.
Ci viene in mente, a tale proposito, san Luigi Gonzaga (1568-1591 e del quale tra due giorni ricorrerà la memoria) che, senz’altro, è uno di quei “pochi”. Egli, primogenito di stirpe nobile, rinunciò al suo diritto di successione, a favore del fratello minore Rodolfo, entrando nella Compagnia di Gesù (gesuiti) e terminò il suo pellegrinaggio terreno a soli 23 anni mentre, a Roma, dava soccorso ad un appestato, durante l’epidemia che colpì la città nel 1591. Torniamo a Francesco che prosegue ammettendo, dunque, che anche nella scelta della vita religiosa “si incontrano tanti desideri, tante speranze, ma si è tanto poco vuoti del proprio tornaconto! Quanto poi alla vanità, non so se sia possibile trovarne uno solo che ne sia libero. E’ un male comune e universale”. E qui dobbiamo considerare questa affermazione valida per ogni tipo di vita in quanto anche i “laici”, che si impegnano al meglio delle loro possibilità all’interno della propria famiglia e della comunità parrocchiale, possono soffrire di questa “sindrome”. A sostegno di questo, come fa lo stesso Salesio, citiamo le parole di Agostino: “Non so se ci sia qualcuno esente dalla vanità, dal compiacimento di se stesso, dalla stima di se stesso; se sia così non lo so, ma, per conto mio, non sono di quel numero, perché sono un uomo peccatore” (Le Confessioni, libro X, 36-38). Francesco, a questo punto, non può che esclamare: “O Dio, quanto questo glorioso santo, dopo la conversione era contrito e umiliato, quanto si era abbassato e quanto era pieno di riconoscenza per la grazia ricevuta dalla somma Bontà!”. E quanto, anche noi tutti, dobbiamo essere umili, nel riconoscere che il bene che riusciamo a fare non è “farina del nostro sacco”, ma frutto della bontà di Dio e del suo Spirito che agisce in noi e attraverso di noi. E, insieme ad Agostino, potremmo chiederci: “che cosa renderò al Signore per tutto il bene che mi ha fatto?” E rispondere: “Gli offrirò un sacrificio di lode”.
Preghiamo
Signore Gesù, che scruti il profondo del nostro cuore, non permettere che il bene che riusciamo a fare ci faccia inorgoglire e rendi sempre più presenti in noi le tue parole: «Quando avrete fatto tutto quelle che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10). Amen
Che il Signore oggi ci conceda di sentirci servi senza pretendere la riconoscenza altrui.
Buona giornata,
PG&PGR